Vorrei parlarvi di una strategia linguistica molto utilizzata sui media italiani: la tendenza a riportare termini connessi al sistema elettorale nel cosiddetto latinorum. Ma prima di tutto vi riporto qui la definizione di latinorum proposta dal vocabolario online Treccani: «Parola formata popolarmente con la desinenza -orum del genitivo plur. latino per indicare spreg. o scherz. il latino, quand’esso non è inteso o è adoperato da chi non vuole farsi intendere (e con questa accezione può indicare un discorso anche non latino ma costruito con parole intenzionalmente oscure, involute o troppo tecniche).»

La strategia linguistica di cui stiamo parlando è molto frequente nel processo di designazione delle leggi del sistema elettorale italiano; si vedano ad esempio nomi di leggi, quali Mattarellum, Porcellum, Italicum e Legalicum. Ne avete già sentito parlare?

Cosa si cela dietro questi neologismi (se proprio vogliamo chiamarli così)?

Detto brevemente: complicati equilibri per l’elezione del Parlamento e del Senato italiani, tra sistema elettorale proporzionale e maggioritario.

Chi ha coniato questi simpatici termini?

Tutto iniziò nel 1993 in occasione dell’approvazione della legge elettorale elaborata dall’allora democristiano Sergio Mattarella, poi definita Mattarellum dal politologo Giovanni Sartori nel suo articolo intitolato «Riforma de profundis» pubblicato sul Corriere della Sera il 19 giugno 1993, per riferirsi a un sistema di voto «aspramente criticato», come afferma Carmelo Rapisarda su www.agi.it. Tale neologismo godette comunque dell’immediata approvazione del capo dello Stato dell’epoca, Francesco Cossiga, e aprì la strada a ulteriori nuove coniazioni che per assonanza ricordavano quella prima legge mattarelliana, che prevedeva il sistema maggioritario solo per il 75 % dei seggi e quello proporzionale per il 25 %. Si instaurarono così termini quali Porcellum (sempre coniato da Sartori) che, come racconta Vittoria Montesano, delineava il nuovo sistema elettorale proporzionale corredato di premio di maggioranza e liste bloccate. Quest’ultimo fu proposto da Roberto Calderoli nel 2005 e venne da lui stesso in seguito definito una vera e propria «porcata», termine da cui prese il nome la legge. Ma ecco che arriva Matteo Renzi e nel 2016 sboccia l’Italicum, un sistema con premio di maggioranza, soglie di sbarramento e collegi plurinominali. A Sartori, come ci ricorda Francesco Gallina, Italicum però non garba e propone Bastardellum. In ultimo arriva il sistema elettorale Legalicum, parola che, a detta di Carmelo Rapisarda, più che una legge elettorale riecheggia le formule esoteriche del mago Merlino nell’insuperabile cartone di Disney La spada nella roccia: «Aquarium, aquaticus, cum aqua digitorum»! Dunque come vediamo non sono poche le critiche in merito al latinorum.

Pro e contro

Come ben spiega il Treccani sopra, il latinorum sta a delineare un uso erroneo della lingua latina. Nei casi qui descritti certamente ciò che salta subito all’occhio è che, nonostante il nome del sistema elettorale in sé non aiuti a comprendere il contenuto della legge stessa, il lettore è comunque ammaliato dal nuovo vocabolo latineggiante che viene subito ripreso dall’apparato mediatico italiano, sempre più spesso neanche degnandosi quest’ultimo di descrivere dettagliatamente il contenuto della legge che il nuovo termine trasporta. A questo proposito vi propongo una breve lettura in cui vengono illustrati alcuni aspetti negativi e i limiti dell’utilizzo dei falsi latinismi, di cui riporto qui l’introduzione: «[…] gli italiani si trovano a confrontarsi con il dizionario della politica che mascherandosi con i latinismi cela il pasticcio di una legge elettorale uscita più volte riformata dal Parlamento per adattarsi alle mutate esigenze di governabilità della prima, seconda e terza repubblica [sic!]. […]» Dunque la lingua della politica si abbellisce sempre più di neologismi per nascondere i limiti e le tare dei sistemi che presenta. È tuttavia possibile vedere anche in buona luce questo processo di coniazione (a mio avviso però solo dal punto di vista terminologico): ravvivare articoli di giornale o notiziari con termini latineggianti, infatti, può risultare strategico al fine di attirare l’attenzione del lettore o dello spettatore, il quale certo non dimenticherà facilmente tali vocaboli (come spesso invece accade con le notizie di politica interna) bensì li riprenderà facendoli propri.

Ma quanto è giusto storpiare una lingua come quella latina per metterla al servizio della politica e, di conseguenza, dei media? Senza dubbio quella del latinorum come strategia linguistica possiede un grande potenziale espressivo, a cui è difficile resistere quando si redige un testo che si vuole, per così dire, colorare e rendere originale. Voi cosa fareste se foste nei panni dei politici? Scendereste a compromessi dandovi al latinorum, pur risultando talvolta criptici, oppure scegliereste una linea più purista e chiara senza accorrere al latino?