Non era la lingua dei miei nonni. A casa i miei genitori parlavano un misto di dialetto veneto (mia mamma) e dialetto fiumano (mio papà), quello degli esuli dalmati. Mio nonno paterno, nato nell’Austria-Ungheria e per l’appunto giunto in Italia nel 1947 da Fiume, passata alla Jugoslavia, parlava sette lingue. «Sette lingue, sette gambe» mi dicevano di lui. Sono cresciuta a Cormons, in provincia di Gorizia, Friuli Venezia Giulia, con queste due parlate, molto simili tra loro, e l’italiano colto. Il friulano in casa nostra era una lingua straniera.

Ho un ricordo del dialetto friulano (oggi una lingua a tutti gli effetti, ma su questo ci ritorniamo) legato a un senso di estraneità. Lo sentivo parlare, tra il divertito e l’incredulo, a casa degli altri bambini, per strada e nei negozi del paese. Quell’esperienza è stata un assaggio di ciò che oggi mi appassiona e che ritrovo nel mio lavoro: ascoltare attentamente i suoni di altre lingue, abbandonarsi alla melodia; distinguere tra puro ascolto e messaggio; scomporre il discorso, il periodo, il termine; tradurre. Negli anni della mia infanzia ho imparato a memoria filastrocche il cui significato mi sfuggiva completamente e che tuttora risultano incomprensibili alle mie orecchie (ma contava la musicalità!), come questa «Ursule parussule ce fâstu sun chê vit. O mangji pan e coculis e o spieti gno marît […]» [1]

Il primo a insegnarmi la preziosità del friulano è stato il maestro Dario: una ricerca sulla cultura contadina con interviste agli abitanti del paese e una rappresentazione teatrale; ho recitato in friulano pronunciando parole esotiche con l’accento di una bambina che prova a parlare una lingua straniera. «Âstu pôre?» «No, o soi cun te» [2] mi è rimasto nel cuore. Durante l’adolescenza ho provato a imparare il friulano, sicuramente oggi lo capisco bene (e lo parlucchio ancora); scriverlo, non lo scrivo, ha regole precise come ogni lingua che si rispetti.

Friulano
«Tocs di Cormons» (pezzi di Cormons), associazione culturale cormonese.

Poi per molti anni relegare il friulano nell’ultimo angolo della mente è stata per me una necessità. Oggi vivo da 20 anni in Germania, l’italiano è la lingua degli affetti, delle letture, dei sogni; dopo tanti anni so il tedesco (quasi) come una lingua madre (se non altro il tedesco è la lingua di mia figlia). Ho riscoperto e ricominciato ad apprezzare il friulano in anni recenti e non è un caso che riaffiori proprio ora.

Marilenghe (lingua madre)

Immagine tratta da: https://it.wikipedia.org/wiki/Lingua_friulana

Il friulano, o furlan, lenghe [3] o marilenghe (denominazioni ufficiali), è una lingua neolatina facente parte delle lingue retoromanze come il ladino e il romancio. Con la legge 482/1999, «Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche», il friulano, fino ad allora un dialetto, è stato di fatto riconosciuto come lingua anche dallo Stato italiano. Attualmente si calcola che il friulano sia parlato correntemente da circa 600 000 persone. Per tutelare le lingue parlate nel territorio, la Regione Autonoma del Friuli Venezia Giulia ha riconosciuto tre lingue utilizzate oltre a quella italiana: lo sloveno, il tedesco e il friulano. La tutela delle diverse comunità linguistiche, e dunque di quella friulana, costituisce un patrimonio linguistico, culturale e storico e una ricchezza in termini di memoria. Da decenni ormai la regione svolge un intenso lavoro di recupero e promozione della lingua friulana in contesti pubblici, che comprendono lo svolgimento di attività educative, e privati, come la salvaguardia del friulano anche nelle giovani famiglie.
Dopo la legge che sanciva la tutela della lingua friulana, è nato l’Osservatorio regionale della lingua e della cultura friulane (OLF), sostituito nel 2004 dall’Agenzia Regionale per la Lingua Friulana. Si riconoscono più varietà di friulano con notevoli differenze nella fonetica.

Friulano
Dettaglio del monumento ai caduti al Bosco Romagno, nei pressi di Cividale del Friuli; «Pai nestris fogolârs», «Per le nostre case» o, qui, in senso lato, «Per noi».

Lingua di poeti

Il friulano è una lingua legata a tradizioni antiche, al fogolâr [4], non è facile suggerire letture moderne. Tra gli autori contemporanei è opportuno citare Pier Paolo Pasolini, che scelse il friulano per alcune raccolte di poesie. E, tra gli autori più attuali, Pierluigi Cappello, che oltre a scrivere in questa lingua ha tradotto dallo spagnolo e dal francese verso il friulano. Ma per sentire «da vicino l’effetto che fa» consiglio soprattutto di fermarsi a bere un tai [5] in una frasca [6] (e rizzare le orecchie) o di assistere a un incontro della Cormonese calcio; o di sintonizzarsi su Radio Onde furlane.
Recentemente mi è capitato di scoprire un interessante e tenerissimo testo in friulano che mi ha incuriosito. A 40 anni dal terremoto che devastò il Friuli è stato ripubblicato il Lunari dai frus e frutis di Glemone [7], disegnato e scritto nella propria lingua, dunque in friulano, prima del Natale del 1975, dai bambini delle classi quinte della scuola elementare di Gemona del Friuli, cittadina rasa al suolo dal terremoto nel mese di maggio del 1976. Dopo quell’evento catastrofico l’autore di letteratura per l’infanzia Gianni Rodari fece conoscere il lunario dei bambini friulani di cui si è riparlato, appunto, nel 2016. E così torniamo alle parole e all’immaginario dell’infanzia.

Stralunata

Per ovvie ragioni il lavoro di riscrittura e traduzione di tutte le parti in friulano di questo articolo non è (solo) mio: mi sono appoggiata all’Agjenzie Regjonâl pe lenghe furlane (Agenzia regionale per la lingua friulana), che ringrazio per il prezioso contributo. Il friulano delle citazioni è quello ufficiale (solo per il Lunari ho ripreso il titolo dell’opera originale e dunque il friulano di Gemona). Poco tempo fa al mio paese ho incontrato casualmente un’amica di vecchia data. Dopo aver parlato del più e del meno l’ho salutata dicendo, disinvolta: «Spiete che ti bussi»[8]. Mi ha guardato stralunata, evidentemente non ci ho azzeccato. Mi ha baciato, correggendomi: «Ti doi une bussade»[9]. Ho provato a parlarle in friulano, ma evidentemente la mia versione era incomprensibile. Infatti una delle prime cose che ti insegnano a scuola è che per non perdere una lingua straniera occorre la pratica!

 

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[1] Ursula cinciallegra, che fai su quella vite? Mangio pane e noci e aspetto mio marito […]

[2] «Hai paura?» «No, se ci sei tu.»

[3] Lingua

[4] Focolare, casa

[5] Bicchiere di vino

[6] Nella cultura friulana, casa privata aperta al pubblico per pochi mesi all’anno, per smercio di vino di produzione propria e prodotti del territorio

[7] Lunario dei bambini e delle bambine di Gemona

[8] «Vieni qui che ti bacio.»

[9] «Ti do un bacio.»

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